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Intorno all’anno Mille il tempio edificato sull’Isola Tiberina in onore del dio Esculapio fu sostituito da un santuario-ricovero per gli infermi dedicato all’Apostolo San Bartolomeo. Se ne occupava una comunità di Suore Benedettine che, seguendo la tendenza degli ordini religiosi del periodo, prestavano soccorso all’esorbitante numero di accattoni, poveri ed infermi che invadevano la città.

La situazione restò sostanzialmente invariata fino a circa la metà del Cinquecento, quando venne vietato l’accattonaggio e i mendicanti furono accolti in istituti di recupero e formazione.

Da un punto di vista sanitario si assistette ad una trasformazione degli ospizi di ricovero in “fabbriche della salute”, anticipazioni rinascimentali dei moderni ospedali, in cui i malati non venivano più esclusivamente albergati, ma sottoposti a cure con l’apporto di medici, chirurghi e infermieri. In quest’ottica si inseriva perfettamente la vicenda del portoghese Juan Ciudad, diventato Santo con il nome di Giovanni di Dio, che, dopo un’esistenza raminga e dissoluta, si convertì e fondò l’ordine dei Fatebenefratelli.

Dedicò tutta la sua vita alla cura degli infermi con una visione moderna dell’assistenza ospedaliera e dell’ospitalità: i malati venivano accolti e “ricoverati” in base alle patologie ed ognuno di loro veniva curato ed assistito con un’attenzione al singolo individuo assolutamente nuova per quel tempo. San Giovanni di Dio è considerato per questo il fondatore dell’Ospedale moderno. Due membri della neonata Congregazione dei Fatebenefratelli, Fra Pietro Soriano e Fra Sebastiano Arias, si insediarono sull’Isola Tiberina dopo un interregno della Confraternita dei Bolognesi (1575 - 1584), iniziando ad applicare i principi di Umanizzazione ed Ospitalità che sarebbero poi stati, nei secoli, caratteristica costante dell’Ordine. All’epoca l’edificio era un monastero con la Chiesa annessa risalente al secolo X e dedicata a San Giovanni Calibita, dopo che, durante i lavori di ristrutturazione fu ritrovato il corpo del Santo ivi deposto da Papa Formoso (891-896).

Quindici frati si stabilirono sull’Isola e introdussero innovazioni sanitarie rivoluzionarie per quei tempi, come riservare un letto a un solo paziente e corredarlo con tutto il necessario. Il Seicento fu poi un secolo di grandi epidemie e pestilenze e l’ospedale, anche in virtù della sua posizione “isolata”, divenne un naturale ricovero per i contagiati. I frati iniziarono a specializzarsi nella cura di questi ammalati e, all’interno dell’ospedale, si formò una vera e propria scuola, in cui si istruiva il personale nell’affrontare le epidemie. Verso la fine del secolo l’ospedale venne rinnovato e riuscì a sopravvivere alla dominazione francese del Settecento, grazie all’enorme rispetto dei dominatori nei confronti dell’ordine dei Fatebenefratelli.

Nel 1832 una nuova calamità colpì la città di Roma: il colera. Grazie alle cure prestate, soltanto la metà dei contagiati perì e l’impegno dei Fatebenefratelli venne riconosciuto dalla Commissione speciale di Sanità. Dopo la breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870, lo Stato iniziò a sottrarre gli ospedali agli ordini religiosi. Simile sorte toccò anche ai Fatebenefratelli che nel 1878 persero la gestione della struttura sull’Isola Tiberina, pur continuando a rimanervi come meri esecutori di ordini. Il degrado che subì l’Ospedale negli anni successivi, tuttavia, spinse l’Ordine a tentare di recuperarlo.

Su un atto notarile si legge che tre cittadini acquistarono l’Ospedale, per “privata industria ed interesse”. I misteriosi privati erano proprio tre frati divenuti acquirenti sotto mentite spoglie per aggirare la legge ancora in vigore contro il possesso di ospedali ad opera di religiosi. Finalmente così, nel 1892, l’Isola Tiberina tornò in mano ai Fatebenefratelli, che ripristinarono la vecchia gestione. Alla fine del secolo l’Ospedale, come tutta l’Isola, corse il rischio di essere cancellato dalla città, in seguito al progetto di alcuni ingegneri che proponevano le più disparate soluzioni contro le continue piene del Tevere. Ovviamente la levata di scudi fu massiccia e nessuno spostò una pietra dall’Isola, che fu invece munita di muraglie a difesa delle correnti, mentre il complesso Ospedaliero venne continuamente modernizzato, con ingrandimento del reparto chirurgico, degli ambulatori e dei gabinetti di analisi, vista la progressiva espansione della neonata diagnostica di laboratorio.

Dopo l’interruzione dovuta alla Grande Guerra, i lavori di ampliamento ripresero nel 1922, quando fu costruita una nuova sala operatoria, furono aperte nuove stanze per i degenti e impiantati un gabinetto di oculistica e uno di radioscopia, fra i primi in tutta Roma.