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Skip Navigation LinksChi SiamoTra mito, storia e archeologia

Tra mito e storia...

Come tutti i luoghi che affondano le proprie radici nella notte dei tempi, anche l’Isola Tiberina vanta natali illustri, in cui i confini fra mito e storia sopravvivono. La leggenda narra che la formazione dell’Isola sia da far risalire al tempo in cui i Romani, nel 509 a.C., si liberarono della monarchia, cacciando Tarquinio il Superbo e saccheggiando Campo Marzio, luogo che l’ultimo re della città aveva dedicato alla coltivazione del grano sacro a Marte.

Per non commettere un gesto empio, nutrendosi delle messi sacre al dio, i cittadini decisero di rovesciare i covoni nel Tevere, proprio dove il fiume formava una grossa ansa all’altezza del Foro Boario. Il rallentamento delle correnti in prossimità della curva non permise all’acqua di trascinare via i covoni che, gradualmente coperti dalla melma e da altri detriti trascinati dal fiume, diedero vita all’Isola. Scavi recenti hanno portato alla luce, negli strati più profondi dell’Isola, semi di grano.

Sempre dal mito trae origine anche la funzione che da sempre l’Isola riveste, quella di luogo consacrato alla medicina. Durante la seconda guerra sannitica, intorno al 291 a.C., la città venne colpita da una grave pestilenza per contrastare la quale venne inviata una delegazione romana ad Epidauro, in Grecia, dove aveva sede il tempio del dio della medicina, Esculapio.

Qui il simbolo stesso del dio, un serpente, salì di propria volontà sulla “trireme romana” che salpò alla volta di Roma. Durante la risalita del Tevere il serpente scese dalla nave e si diresse verso l’Isola in mezzo al fiume, annidandosi tra le sterpaglie: quello fu il luogo scelto per erigere un tempio dedicato al dio Esculapio, che, soddisfatto, pose immediatamente fine alla pestilenza. Forse proprio per ricordare questa vicenda, oppure perché l’Isola ha una forma che ricorda quella di una nave, successivamente gli argini vennero risistemati e coperti di travertino ed effigi, mentre al centro dell’Isola venne eretto un obelisco a foggia di un albero maestro: ormai non resta che una minima porzione di marmo a ricordare questa fase dell’Isola, ma rappresentazioni grafiche dei secoli passati, alcune anche abbastanza fantasiose, ci consegnano la raffigurazione di una vera e propria nave, che solca il Tevere e resta ancorata agli argini tramite due ponti, il Cestio e il Fabricio.

... e Archeologia

Negli anni ’30 durante i lavori di demolizione e di sterro per l’ampliamento dell’Ospedale furono fatte importanti scoperte archeologiche testimoniate sul Giornale degli Scavi da parte dell’assistente Gandolfo Sardo e da pochi appunti di G. Gatti.

Il primo documento ci informa del rinvenimento di 5 statue iconiche in marmo. Durante lo sterro non è emerso nessun indizio che possa spiegare in qualche modo la presenza delle statue in quel luogo. Si può supporre, però, che esse fossero poste lì tutte insieme sulla striscia di lastroni che conduceva fino alle sponde del Tevere, per essere trasportate altrove per via fluviale o trafugate per la stessa via.

Da G. Gatti, invece, apprendiamo che: «durante i lavori è stato trovato un piccolo tratto di pavimento a mosaico a tesserine bianche e nere che stava su terra, inclinato, evidentemente fuori posto, caduto».

Negli anni 1982-’94, durante i lavori di scavo promossi dall’Ospedale per guadagnare spazio al piano interrato, la Soprintendenza Archeologica di Roma ha effettuato delle esplorazioni a più riprese, acquisendo importanti dati sulla topografia antica dell’area.

Una prima fase di indagini (’82-‘86), pubblicata da M. Conticello De’ Spagnolis, ha interessato i due cortili dell’edificio e aree esterne limitrofe.

Nel primo cortile (cosiddetto del Pino) si è riscontrato fino alla profondità di 4 metri un interro «omogeneo e formato da calcinacci e da mattoni di tagli e formato moderno».

Nel secondo cortile (cosiddetto dei Pesci) a 2 metri di profondità è stato rinvenuto un grande blocco di marmo con iscrizione, datata alla prima metà del III sec. d.C., contenente la menzione di un certo Aelius o Aurelius Rugianus legato della XIII Legione Gemina. Due metri sotto, invece è emersa parte di una platea antica in pietra gabina bordata da lastre di travertino, datata metà del I sec. a. C. .

Tra l’89 e il ’94, una seconda serie di esplorazioni ha interessato l’intero secondo cortile, mettendo in luce, alla profondità di 3.30 metri, un’aula rettangolare a blocchi di tufo da identificare col tempio di Iuppiter e un’area retrostante, appartenente allo stesso santuario, pavimentata a lastre di pietra gabina, e già in parte evidenziata dallo scavo dell’85. La pavimentazione dell’edificio, parzialmente conservata, è a mosaico. Ai piedi delle pareti interne, decorate da intonaci colorati, privi di decorazione figurata, corre una zoccolatura a sezione rettangolare con nucleo interno cementizio e rivestimento di intonaco rosso. Il pavimento musivo, a piccole tessere bianche, disposte secondo un ordito orizzontale, presenta al centro, entro una tabella delimitata da una fascia di tessere nere, un’iscrizione, anch’essa a piccole tessere nere, riferibile probabilmente a un restauro del tempio, che sappiamo da Livio dedicato nel 194 a. C. .

Sull’aula insistono strutture riferibili, forse, alle prime fasi della Chiesa di San Giovanni Calibita.

Il santuario di Esculapio

Il santuario di Esculapio fu realizzato a Roma sul modello di quelli che da tempo esistevano nel mondo greco. Oltre al tempio vero e proprio esso comprendeva altri edifici disposti insieme a quello all’interno di un recinto sacro. Si trattava, in particolare, di portici destinati all’accoglienza e al ricovero dei fedeli e a consentire loro di dormire così da ricevere in sogno i suggerimenti divini.

La sua costruzione dovette iniziare subito dopo l’arrivo del serpente a Roma. L’anno della dedica potrebbe essere stato il 465 dalla fondazione di Roma, ossia il 289 a.C.

Il tempio doveva sorgere nella parte meridionale dell’Isola, dove ora si trova la chiesa di San Bartolomeo, con la fronte rivolta verso nord.

Per la stessa chiesa furono utilizzati – e tuttora sono riconoscibili – elementi architettonici provenienti dall’edificio templare smantellato e forse in parte già crollato subito dopo la fine del mondo antico. Oltre ai numerosi frammenti marmorei inseriti nei muri del campanile e nei pavimenti musivi della chiesa, si tratta soprattutto delle quattro colonne che fiancheggiano l’ingresso del portico e delle quattordici colonne - sette per parte - che formano le due navate laterali e che essendo di materiale diverso (undici di granito, le altre di marmo greco e di marmo africano) e di diversa altezza (due hanno grandi basi attiche di marmo bianco), mostrano di provenire da altri edifici, comunque facenti parte del complesso del santuario (per esempio i portici).

Quanto al puteale marmoreo “incastrato” tra i gradini che dalla navata centrale salgono al presbiterio, la sua pertinenza al tempio di Esculapio potrebbe essere testimoniata proprio da questa singolare posizione. Essa sarebbe infatti da riferire all’antichità e in ogni caso anteriore all’edificazione della chiesa. Secondo alcuni vi si potrebbe riconoscere addirittura il luogo dell’antica sorgente sacra esistente presso il tempio, ed ereditata dalla tradizione popolare cristiana come fonte di acqua salutare.

Tratto da:
L’Isola della Salute. L’isola Tiberina dall’antichità ai nostri giorni
1996

NB. Gli scavi non sono aperti al pubblico